Leggendola sembra avere nelle orecchie la
voce del “Gran Vecchio!” (Giuseppe
Ungaretti). Belli e coscienti i commenti
dei lettori.
Non si sa niente di lui se non che è un
saggio giocatore della parola musicale, che
disegna il quadro del suo momento, assai
ampio, dispiegando l'azione con sibili
simili ad un eterno silenzio, che è silenzio
imposto affinché ciò che scrive abbracci
periodi diversi della storia sua e nostra.
Ginko osserva
tutto ciò da molteplici punti di vista,
perché i versi scivolino “sotto strati
sporgenti” e compongano il suo dire
completo e comprensibile, firmando una
delle sue personalità più sensibili e
diverse. Sono versi che si rispondono da un
punto all'altro nell'ideale ricerca d'un
gioco elevato alla più alta vetta della
“pura poesia” in modo che l’intera
lirica possa volare come lui vuole,
nell'attesa della pienezza del suo volo.
Diversa e molto sentimentale e la seguente,
dedicata alla madre, dove il gioco non è più
al tappeto verde delle parole, ma con la
penna guidata dal cuore:
A MIA MADRE
Dieci anni a inseguire
su strade straniere
il respiro del vento
unico compagno delle mie afflizioni.
Dieci anni
in cerca di un volto, una voce,
un profumo che mi tenesse ancora
legato ai ricordi,
sempre più indistinti, lontani.
Crescevo in quella illusoria ricerca
tra campi allestiti
e smantellati la notte,
tra botte, soprusi,
furti e rancori.
Io nomade a metà,
senza un passato da ricordare,
radici smarrite nell’inesistente
presente,
inutili pensieri di un futuro incerto e
lontano.
Lirica diversa per qualità e statura
morale, pregna di una profonda e interiore
inquietudine che lo spinge a mettere in
discussione certi valori, indirizzandoli
verso la ricerca di qualcosa che trascenda
l'umanità.
Grazie alle affinità elettive: “tra campi
allestiti/ e smantellati la notte”
formano un ideale sodalizio, con i ricordi
«capaci di ricavare un universo da un
frammento o di vedere riflesso un cielo in
una goccia d'acqua».
Coinvolto suo malgrado in un'avventura
metafisica, rispolverata dalla nostalgia,
modellata da tensioni e contrasti interiori,
nel duplice confronto con l’”Io creativo”
prepotente e inamovibile e il “Sé
razionale” i versi vengono alla ribalta
come acqua di sorgente verso il torrente per
trovare il fiume e tuffarsi nel mare
dell’amore materno, che ritiene il più
sincero.
La storia sua e della madre e puramente
individuale, le loro vicende biografiche si
nobilitano in un significato che trascende
la realtà, nel momento in cui accetta il
destino di entrambi non come inevitabile, ma
come un atto di coscienza.
ADESSO
Adesso che il tempo è diverso,
che sto raggiungendo la meta,
m’accorgo di quanto t’amai
nei giorni della mia primavera.
Tu madre, tu moglie, tu donna
hai vegliato ogni mio passo,
crescendo quest’uomo in silenzio
per un bacio a volte distratto.
Adesso che il tempo è alla fine
ti rivedo com’eri
e piangendo domando perdono
se adesso... soltanto
ti dico che t’Amo…
Mentre la storia della lontananza e del
ritrovamento per l’infinito spazio del cuore
sembra concluso, si riapre interamente
perché le carte vengano di nuovo rimescolate
e si rifaccia daccapo un altro dibattito,
che ripropone in termini moderni il
problema: “hai vegliato ogni mio
passo,/crescendo quest’uomo in silenzio/ per
un bacio a volte distratto.
Il dramma nasce all'apice dei ricordi di
tutta la vita, facendo esplodere il cuore in
un grido per troppo tempo chiuso
ermeticamente sotto chiave: “Adesso che
il tempo è alla fine/ ti rivedo com’eri/ e
piangendo domando perdono/ se adesso...
soltanto/ ti dico che t’Amo…”
La disposizione stilistica è per Ginko
un'offerta continua di modificazione e di
rinnovamento del discorso: la proposta di
una architettura inventiva che trova
riscontro in una struttura espressiva
altrettanto toccante.